LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda sezione penale 
 
    composta da: 
        Ugo De Crescienzo, Presidente; 
        Andrea Pellegrino; 
        Ignazio Pardo; 
        Fabio Di Pisa; 
        Sandra Recchione - estensore. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  proposto  da:
S.C. nato il ... a ... avverso la sentenza del 22 febbraio 2017 della
Corte d'appello di Bari; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal Consigliere Sandra Recchione; 
    Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore
F. Marinelli che ha concluso per l'inammissibilita'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. La Corte d'appello di Bari confermava la  responsabilita'  del
S. per i reati di cui agli articoli 628, comma 2 codice penale  e  75
comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. 
    All'imputato era stato contestato il reato previsto dall'art. 75,
comma 2 del decreto legislativo 159 del 2011  «perche'  nelle  stesse
circostanze di tempo e di luogo sub. a), pur sottoposto  alla  misura
di prevenzione della sorveglianza speciale di  P.S.  con  obbligo  di
soggiorno nel Comune di Bitonto per la durata di mesi 10 e giorni  11
in virtu' del provvedimento del Tribunale di Bari - sezione Misure di
prevenzione n. 216/2011 R.G.M.P.  (gia'  209/2010  R.G.M.P.)  del  14
dicembre  2011,  emesso  dalla  sezione  misure  di  prevenzione  del
Tribunale di Bari (verbale di risottoposizione alla  medesima  misura
di prevenzione della Sorveglianza speciale di  P.S.  con  obbligo  di
soggiorno del 10 febbraio 2016), violava le prescrizioni  di  cui  al
punto 4 («vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato  e  non
dare ragione alcuna di sospetto in  ordine  alla  propria  condotta»)
quando commetteva il delitto sub. a) [rapina  aggravata] indicato  in
Bari il 1° giugno 2016». 
    Per  tale  delitto  veniva  inflitto  un  aumento  di  pena,   in
continuazione con la sanzione relativa al reato di  rapina,  di  anno
uno, mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa. 
    2.  Avverso  tale  sentenza  proponeva  ricorso  per   cassazione
l'imputato, che deduceva vizio di legge e di  motivazione  in  ordine
alla definizione del trattamento sanzionatorio  e,  segnatamente,  in
ordine al giudizio  di  bilanciamento  tra  le  circostanze  ed  alla
individuazione della pena base. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  Il  collegio  ritiene  di  sollevare  d'ufficio  la  seguente
questione di costituzionalita': se l'art. 75,  comma  2  del  decreto
legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui  sanziona  penalmente
l'obbligo di «vivere onestamente  e  di  rispettare  le  leggi»,  sia
compatibile con gli articoli 25 e 117 della Carta fondamentale, letto
questo secondo articolo in relazione  all'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  ed  all'art.  2  del  Protocollo  n.  4  della   stessa
Convenzione, interpretati alla luce della  ratio  decidendi  espressa
dalla sentenza della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  Grande
camera, De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017. 
    2. Per inquadrare il problema di costituzionalita'  rilevato,  e'
necessario richiamare  alcune  sentenze  delle  «Alte  Corti»  (Corte
costituzionale, Corte Edu e Cassazione a sezioni unite) che  si  sono
espresse sulla determinatezza e prevedibilita'  della  legge  che  le
disciplina. 
    2.1. Segnatamente, si ritengono rilevanti le seguenti decisioni: 
        la sentenza della Corte costituzionale n. 282  del  2010:  in
tale decisione e' stata  vagliata  la  rispondenza  al  principio  di
legalita' della fattispecie prevista dall'art. 9 secondo comma, della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423  (riprodotta  integralmente,  con  la
sola esclusione  dell'obbligo  di  «non  dare  ragioni  di  sospetto,
nell'art. 75, comma  2  del  decreto  legislativo  n.  159  del  2011
attualmente vigente e contestato al S.). In tale occasione il Giudice
delle leggi ha ritenuto non fondata la questione ed ha affermato  che
«la  prescrizione  di  «vivere  onestamente»,  se  valutata  in  modo
isolato, appare di per se' generica e suscettibile  di  assumere  una
molteplicita' di  significati,  quindi  non  qualificabile  come  uno
specifico  obbligo  penalmente  sanzionato.  Tuttavia,  se  essa   e'
collocata nel  contesto  di  tutte  le  altre  prescrizioni  previste
dall'art. 5 della legge n. 1423 del 1956 e successive modificazioni e
se si considera che e' elemento  di  una  fattispecie  integrante  un
reato proprio, il quale puo' essere commesso soltanto da un  soggetto
gia'  sottoposto  alla  misura  di  prevenzione  della   sorveglianza
speciale con obbligo o divieto di soggiorno, la  prescrizione  assume
un contenuto piu' preciso, risolvendosi nel  dovere  imposto  a  quel
soggetto di adeguare la  propria  condotta  ad  un  sistema  di  vita
conforme al complesso delle suddette prescrizioni, tramite  le  quali
il dettato di «vivere onestamente» si concreta e  si  individualizza.
Quanto alla  prescrizione  di  rispettare  le  leggi»,  essa  non  e'
indeterminata ma si riferisce al dovere,  imposto  al  prevenuto,  di
rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano cioe'
di tenere o non tenere una certa  condotta;  non  soltanto  le  norme
penali, dunque, ma qualsiasi disposizione  la  cui  inosservanza  sia
ulteriore indice della gia' accertata pericolosita' sociale. Ne' vale
addurre che questo e'  un  obbligo  generale,  riguardante  tutta  la
collettivita', perche' il  carattere  generale  dell'obbligo,  da  un
lato, non ne rende generico il contenuto e, dall'altro,  conferma  la
sottolineata esigenza di prescriverne il rispetto a persone  nei  cui
confronti  e'  stato  formulato,  con  le  garanzie   proprie   della
giurisdizione, il suddetto giudizio di grave pericolosita' sociale. 
        la sentenza emessa il 23 febbraio 2017  dalla  Grande  camera
della Corte europea dei diritti dell'uomo  nel  caso  De  Tommaso  v.
Italia: la  Corte  europea  ha  valutato  la  compatibilita'  con  la
Convenzione della legge n. 1423 del 1956 (come si e' detto,  in  gran
parte riprodotta nel decreto legislativo n. 159 del 2011),  rilevando
un difetto di tassativita' della legge  italiana  che  disciplina  le
misure di prevenzione personali sia nella descrizione dei presupposti
applicativi, che nella indicazione dei contenuti prescrittivi. Quanto
ai presupposti applicativi i giudici di  Strasburgo  hanno  affermato
che «nonostante il fatto che la Corte costituzionale sia  intervenuta
in diverse  occasioni  per  chiarire  i  criteri  da  utilizzare  per
valutare  se   le   misure   di   prevenzione   fossero   necessarie,
l'applicazione di tali misure resta legata a  un'analisi  prospettica
da parte dei tribunali nazionali, dato che ne' la legge ne' la  Corte
costituzionale hanno individuato chiaramente le «prove fattuali» o le
specifiche tipologie di comportamento di cui si deve tener  conto  al
fine di valutare il  pericolo  che  la  persona  rappresenta  per  la
societa' e che puo' dar luogo a misure di prevenzione»  (§  117).  La
Corte ha ritenuto pertanto che la legge  in  questione  non  contenga
«disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di  comportamento
che  dovevano  essere  considerati  costituire  un  pericolo  per  la
societa'» (§ 117). Con riferimento  ai  contenuti  prescrittivi  (che
rilevano nel caso  in  esame)  i  giudici  di  Strasburgo  hanno  che
«l'interpretazione da parte della Corte costituzionale nel  2010  non
ha  risolto  il  problema  dell'imprevedibilita'  delle   misure   di
prevenzione» in quanto ai sensi dell'art. 5 comma 1  della  legge  in
questione, il tribunale poteva applicare «qualsiasi misura  ritenesse
necessaria - senza specificarne  il  contenuto  -  in  considerazione
delle esigenze di tutelare la societa'» (§ 121).  Con  riguardo  alla
tassativita' delle prescrizioni i giudici  europei  hanno  affermato:
«la Corte non ritiene che  gli  obblighi  di  «vivere  onestamente  e
rispettare le leggi» e di «non dare ragione alcuna ai sospetti» siano
stati delimitati in modo sufficiente dall'interpretazione della Corte
costituzionale, per i seguenti motivi. In  primo  luogo,  il  «dovere
dell'interessato di adattare la propria condotta a uno stile di  vita
che  osservi  tutti  i   summenzionati   obblighi»   e'   altrettanto
indeterminato dell'«obbligo di vivere  onestamente  e  rispettare  le
leggi»,  in  quanto  la  Corte  costituzionale  rinvia  semplicemente
all'art. 5 stesso. Secondo la Corte tale interpretazione non fornisce
indicazioni sufficienti per le persone interessate. In secondo  luogo
il «dovere della persona interessata di rispettare  tutte  le  regole
prescrittive che le chiedono di comportarsi, o di non comportarsi, in
un particolare  modo;  non  solo  le  leggi  penali,  quindi,  ma  le
disposizioni la cui inosservanza sarebbe  un  ulteriore  indizio  del
pericolo  per  la  societa'  che  e'  gia'  stato  accertato»  e'  un
riferimento a tempo indeterminato per l'intero ordinamento  giuridico
italiano, e non fornisce ulteriori chiarimenti sulle specifiche norme
la  cui  inosservanza  rappresenterebbe  un  ulteriore  indizio   del
pericolo rappresentato  dalla  persona  per  la  societa'.  La  Corte
ritiene pertanto che questa parte della legge non sia stata formulata
in modo sufficientemente dettagliato e non definisca con  sufficiente
chiarezza il contenuto delle misure  di  prevenzione  che  potrebbero
essere applicate a una persona, anche alla luce della  giurisprudenza
della Corte costituzionale» (§ 122). 
        la sentenza pronunciata 27 aprile 2017  dalle  Sezioni  unite
della Cassazione, nel caso Paterno': la Corte, nella sua composizione
piu'  autorevole,  e'  stata  chiamata  a  valutare   se   la   norma
incriminatrice di cui all'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n.
159 del 2011, che punisce la condotta di chi violi gli obblighi e  le
prescrizioni imposti con la misura di prevenzione della  sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza  ai  sensi  dell'art.  8  del  decreto
legislativo  cit.,  abbia  ad  oggetto  anche  la  violazione   delle
prescrizioni di' «vivere onestamente» e «rispettare le leggi». A tale
quesito la Corte ha risposto affermando che  l'inosservanza  di  tali
prescrizioni da  parte  del  soggetto  sottoposto  alla  sorveglianza
speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura  il  reato
previsto dall'art. 75, comma secondo, decreto legislativo n. 159  del
2011, il cui contenuto precettivo e' integrato  esclusivamente  dalle
prescrizioni  c.d.  specifiche;  la   predetta   inosservanza   puo',
tuttavia, rilevare ai fini dell'eventuale aggravamento  della  misura
di prevenzione (Cass. sez. un, n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno',
Rv. 270496). 
    Il percorso argomentativo posto a sostegno di tale decisione, che
supera  espressamente  le  conclusioni  cui  era  giunta   la   Corte
costituzionale con la sentenza  n.  282  del  2010,  si  fonda  sulla
valorizzazione  della  ratio  decidendi  espressa  dalla   Corte   di
Strasburgo nella sentenza De Tommaso  v.  Italia.  Le  Sezioni  Unite
hanno infatti affermato che «solo  una  lettura  «tassativizzante»  e
tipizzante della fattispecie puo' rendere coerenza  costituzionale  e
convenzionale alla norma incriminatrice di cui all'art. 75, comma  2,
decreto legislativo n. 159 del 2011, che inevitabilmente comporta  il
superamento di una giurisprudenza di legittimita' che, fino ad  oggi,
non  mostra   di   essersi   confrontata   adeguatamente   con   tali
problematiche». La  Corte  ha  poi  deciso  che  «il  richiamo»  agli
obblighi e alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale  con
obbligo o divieto di  soggiorno»  puo'  essere  riferito  soltanto  a
quegli obblighi e  a  quelle  prescrizioni  che  hanno  un  contenuto
determinato e specifico, a cui poter  attribuire  valore  precettivo.
Tali caratteri difettano alle prescrizioni del «vivere onestamente» e
del «rispettare le leggi». Invero, e' dubbio che possano considerarsi
vere e proprie prescrizioni,  al  pari  di  quelle  menzionate  nella
stessa disposizione di cui all'art. 8 decreto legislativo n. 159  del
2011, dal momento  che  non  impongono  comportamenti  specifici,  ma
contengono  un  mero  ammonimento  «morale»,  la  cui  genericita'  e
indeterminatezza dimostra  l'assoluta  inidoneita'  ad  integrare  il
nucleo di una norma penale incriminatrice» (§ 9, Cassazione sez.  un,
n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno', Rv.  270496).  Il  difetto  di
tassativita' e' stato specificamente individuato: «cio'  che  difetta
e' soprattutto la conoscibilita'  da  parte  del  destinatario  delle
specifiche  condotte  la  cui  inosservanza   puo'   determinare   la
responsabilita' penale. E non e' un caso che  la  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo  abbia  stigmatizzato  proprio  l'imprevedibilita'
causata dal generico riferimento al rispetto  di  tutte  le  leggi  e
delle disposizioni la cui inosservanza  sarebbe  sintomatico  indizio
del pericolo per la societa' (sentenza De Tommaso c. Italia)». 
    Il Supremo collegio ha anche affermato che «le norme penali  sono
norme precettive, in quanto funzionali ad influire sul  comportamento
dei destinatari, ma  tale  carattere  difetta  alle  prescrizioni  di
«vivere onestamente e  di  rispettare  le  leggi»,  perche'  il  loro
contenuto, amplissimo e indefinito, non e' in grado di  orientare  il
comportamento  sociale  richiesto.   L'indeterminatezza   delle   due
prescrizioni in esame e' tale che impedisce la stessa  conoscibilita'
del precetto in primo luogo da parte del destinatario e poi da  parte
del giudice» (§ 9 Cassazione sez. un. n. 40076 del  27  aprile  2017,
Paterno'). 
    2.2. Dal serrato confronto tra le Alte corti che si e' passato in
rassegna emerge la rilevazione di un serio  difetto  di  tassativita'
degli obblighi di «rispettare le leggi e vivere onestamente», che  si
riverbera  sulla  prevedibilita'  della   legge   ed   un   esplicito
superamento delle conclusioni cui era giunta la Corte  costituzionale
con la sentenza n. 282 del 2010. 
    Riconoscendo la capacita' conformativa del diritto  convenzionale
espresso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza  De
Tommaso e la sua capacita' di incidere sulla tenuta delle conclusioni
cui era giunta la Corte costituzionale,  le  Sezioni  unite  si  sono
orientate  ad  effettuare  una  interpretazione  adeguatrice  che  si
risolve, di fatto, in una  abrogazione  giurisprudenziale  del  reato
previsto dall'art. 75, comma 2 del decreto  legislativo  n.  159  del
2011. 
    3. Al fine di chiarire la ragione per  cui  il  collegio  ritiene
necessario aprire l'incidente di' costituzionalita', si  rimarca  che
l'interpretazione abolitiva proposta dalle Sezioni Unite non consente
l'incisione del giudicato. 
    3.1. Le Sezioni unite hanno infatti valutato un caso  in  cui  il
ricorso era ammissibile, sicche' non era in  predicato  la  revisione
del giudicato (§ 13, Cassazione sez. un. n. 40076 del 27 aprile 2017,
Paterno'). Diversamente, nel caso in esame, il ricorso non supera  il
vaglio  di  ammissibilita':  il  S  proponeva,   infatti,   doglianze
generiche nel confronti del trattamento sanzionatorio e non impugnava
l'accertamento di responsabilita' relativo all'art. 75, comma  2  del
decreto legislativo n. 159  del  2011.  In  materia  si  richiama  la
consolidata e condivisa giurisprudenza secondo cui  e'  inammissibile
la censura che,  nel  giudizio  di  cassazione,  miri  ad  una  nuova
valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta  da
sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30 settembre 2013,
dep.  2014,  Rv.  259142).  Invero  il  giudice  di  merito,  con  la
enunciazione, anche sintetica, della valutazione di uno (o piu')  dei
criteri indicati nell'art. 133  codice  penale,  assolve  all'obbligo
della motivazione dato che la valutazione in ordine alla  definizione
dei trattamento sanzionatorio rientra nella  sua  discrezionalita'  e
non  postula  un'analitica  esposizione  dei  criteri  adottati   per
addivenirvi in concreto (Cass. sez. 2, sentenza n. 12749 del 19 marzo
2008, Rv. 239754; Cassazione sez. 4, sentenza n. 56 del  16  novembre
1988, dep. 1989, Rv 180075). 
    Alla   rilevata   inammissibilita'    del    ricorso    consegue,
ineluttabilmente,  il  passaggio  in  giudicato  della  condanna:  la
sentenza invalidamente impugnata diventa infatti intangibile sin  dal
momento in cui si concretizza la causa di  inammissibilita',  che  va
apprezzata   in   un'ottica   «sostanzialistica»    della    dinamica
impugnatoria e delle relative conseguenze sul piano delle preclusioni
processuali     (giudicato     sostanziale).     La      declaratoria
d'inammissibilita'  della  Cassazione,  ove  intervenga,  ha   dunque
carattere meramente ricognitivo  di  una  situazione  gia'  esistente
(cosi' Cassazione sez. un., n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016,
Ricci, Rv. 266818). 
    3.2. La valutazione in ordine alla inammissibilita'  del  ricorso
non esaurisce, tuttavia, gli oneri valutativi gravanti sulla Corte di
legittimita', che, tranne nei casi di ricorso tardivo,  ha  l'obbligo
di rilevare d'ufficio l'eventuale abolitio criminis, (Cass.  sez.  5,
n. 27820 del 19 aprile 2017, Ciarla, Rv. 270453; Cassazione  sez.  5,
n. 40282  del  14  aprile  2016,  Montemurno,  Rv.  268204).  Secondo
l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite  «i  casi  di  abolitio
criminis  e  dichiarazione   di   incostituzionalita'   della   norma
incriminatrice, determinando la revoca della sentenza di condanna  da
parte del giudice dell'esecuzione ex art.  673  codice  di  procedura
penale, ben possono essere rilevati, pur in presenza  di  un  ricorso
inammissibile,  dal  giudice  della  cognizione,  che  si  limita  ad
anticipare, per ragioni di economia processuale, gli esiti  obbligati
della fase esecutiva;  l'eventuale  declaratoria  d'inammissibilita',
infatti, avrebbe  vita  effimera  e  non  impedirebbe  il  successivo
intervento derogatorio in executivis» (Cass. sez. un, n. 12602 del 17
dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818). 
    La giurisprudenza della Cassazione  ha  peraltro  individuato  in
capo al giudice di legittimita' un pervasivo onere di controllo della
«legalita' del giudicato» che  non  si  limita  alla  verifica  della
perdurante esistenza della fattispecie astratta cui si  riferisce  la
condanna, ovvero alla valutazione  della  sopravvenienza.  di  eventi
aboliti della fattispecie incriminatrice,  ma  si  estende  anche  al
vaglio della coerenza del  trattamento  sanzionatorio  (in  corso  di
esecuzione) con i parametri di  legalita'  «alta»  (costituzionale  o
convenzionale)  eventualmente  ridefiniti  dopo  la  formazione   del
giudicato (Cass. sez. un. n. 18821 del 24  ottobre  2013  -  dep.  07
maggio 2014, Ercolano, Rv. 258649; Cassazione sez. un, n.  42858  del
29 maggio 2014, pubblico ministero in proc. Gatto, Rv. 260697). Si e'
deciso, tra l'altro, che nel  giudizio  di  cessazione  l'illegalita'
della pena conseguente  a  dichiarazione  di  incostituzionalita'  di
norme  riguardanti  il  trattamento   sanzionatorio   e'   rilevabile
d'ufficio anche in caso di inammissibilita' del ricorso,  tranne  che
nel caso di ricorso tardivo (la dichiarazione di incostituzionalita',
intervenuta con la sentenza n. 33 del 2014, riguardava il trattamento
sanzionatorio introdotto per le cosiddette «droghe leggere» dal  D.L.
30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21
febbraio 2006, n. 49: Cassazione sez. un. n. 33040  del  26  febbraio
2015, Jazouli, Rv. 264207). L'intervento sul giudicato in presenza di
ricorso inammissibile e' stato esteso anche ai casi di sopravvenienze
legislative  che  incidano  in  modo   favorevole   sul   trattamento
sanzionatorio: anche  in  questo  caso  il  riallineamento  ai  nuovi
parametri  puo'  essere   effettuato   dalla   Cassazione   d'ufficio
disponendo, ai  sensi  dell'art.  609  codice  di  procedura  penale,
l'annullamento sul punto della sentenza impugnata  pronunciata  prima
delle modifiche normative «in melius» (Cass. sez. un. n. 46653 del 26
giugno 2015, Della Fazia, Rv. 265111). 
    3.3. Pertanto: anche in presenza  di  un  preliminare  vaglio  di
inammissibilita' del ricorso il giudizio innanzi alla Cassazione  non
puo' dirsi, quindi, «concluso»,  dato  che  incombe  sul  giudice  di
legittimita' un penetrante onere di controllo  della  «legalita'  del
giudicato». 
    Nel caso di specie l'adempimento di tale onere impone la verifica
della perdurante esistenza del reato previsto dall'art. 75,  comma  2
del decreto legislativo n. 159 del 2011: si tratta - si ripete  -  di
una valutazione d'ufficio necessaria  ed  «ulteriore»  rispetto  alla
valutazione di inammissibilita' dell'impugnazione,  che  consente  di
ritenere  non  definito  il  giudizio,  nonostante   la   preliminare
valutazione della manifesta infondatezza delle questioni devolute. 
    3.4.  In  punto  di  valutazione  della  attuale  vigenza   della
fattispecie incriminatrice prevista dall'art.  75,  comma  2  decreto
legislativo n. 159 del 2011 si rileva  che  l'adeguamento  alla  (pur
condivisa) interpretazione abolitiva offerta dalla sentenza  Paterno'
non legittima alcun intervento sul giudicato e, dunque, non  consente
al collegio di effettuare il  doveroso  controllo  di  legalita'  sul
giudicato. 
    La forza regolatrice delle sentenze delle Sezioni Unite incontra,
infatti,  un  limite  quando  l'interpretazione  si   risolve   nella
abrogazione della fattispecie criminosa,  dato  che  tale  operazione
ermeneutica non puo' essere assimilato  ad  un  evento  abolitivo  di
matrice legislativa o costituzionale e non consente  l'incisione  dei
giudicato. 
    Sul punto la Corte costituzionale ha affermato che  «al  fine  di
porre nel nulla cio' che, di per se', dovrebbe rimanere intangibile -
il giudicato, appunto - il legislatore esige, non  irragionevolmente,
una vicenda modificativa che  determini  la  caduta  della  rilevanza
penale  di  una  determinata  condotta  con  connotati  di   generale
vincolativita' e di intrinseca stabilita'»; connotati che non vengono
riconosciuti alla giurisprudenza delle Sezioni unite in quanto «vi si
oppone anche, e prima ancora - in uno alla gia'  piu'  volte  evocata
riserva di legge in materia penale,  di  cui  allo  stesso  art.  25,
secondo comma, Cost.  -  il  principio  di  separazione  dei  poteri,
specificamente riflesso nel precetto (art. 101, secondo comma, Cost.)
che vuole il giudice soggetto (soltanto) alla legge» (Corte cost.  n.
230 del 2011, § 11). 
    Tale inidoneita' delle sentenze  della  Cassazione  a  costituire
«fonte del diritto» sopravvive anche nell'attuale panorama normativo,
dato che la speciale vincolativita' assegnata  ai  principi  espressi
dalle Sezioni unite dall'art. 618, comma 1-bis  codice  di  procedura
penale e' funzionale a stabilizzare  l'interpretazione,  introducendo
anche nel nostro ordinamento una sorta di «vincolo  del  precedente»,
ma non  assegna  al  massimo  organo  della  Cassazione  alcun  ruolo
normativo. 
    3.5. Deve pertanto essere ribadita l'impossibilita'  di  rilevare
l'abolizione del reato previsto dall'art. 75,  comma  2  del  decreto
legislativo n. 159 del  2011  facendo  (esclusivo)  riferimento  alla
interpretazione  abrogatrice  offerta  dalle  Sezioni   unite   nella
sentenza Paterno'. 
    4. Invero - ed e' questo il punto - la abrogazione interpretativa
effettuata dalle Sezioni unite altro non e' che la validazione di  un
evento abolitivo che trova la sua matrice nel  diritto  convenzionale
e, segnatamente, nella  sentenza  di  Grande  camera  De  Tommaso  v.
Italia. 
    4.1. Se si individua la fonte della  abolitio  nella  Convenzione
Edu nella dimensione interpretativa offerta dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, non resta al  giudice  comune  che  percorrere  il
percorso  metodologico  tracciato  dalla  Corte  costituzionale   per
risolvere i difetti di compatibilita' tra il diritto interno e quello
europeo di matrice convenzionale. 
    Con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 il Giudice delle Leggi  ha
chiarito  che  la  Convenzione  europea  dei   diritti   umani   come
interpretata dalla giurisprudenza della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo  assurge   a   fonte   del   diritto   interno   di   rango
sovralegislativo, ma subcostituzionale: il giudice comune  e'  tenuto
ad interpretare la legislazione interna in modo «conforme» alla ratio
decidendi  del  giudice  convenzionale,  facendo  ricorso   ad   ogni
strumento  ermeneutico  disponibile;  l'incidente   di   legittimita'
costituzionale e' indicato come  strumento  residuale  da  utilizzare
quando  e'  impraticabile  la  torsione  interpretativa  delle  norme
legislative poiche' il confronto  con  le  indicazioni  convenzionali
evidenzia fratture inemendabili per via  interpretativa.  Competera',
inoltre, al Giudice delle leggi, ove accerti il denunciato  contrasto
tra norma interna e norma della  C.E.D.U.,  non  risolvibile  in  via
interpretativa, verificare se la seconda, che si colloca  pur  sempre
ad un livello subcostituzionale, si ponga eventualmente in  conflitto
con  altre  norme  della  Carta  fondamentale,  ipotesi  questa   che
condurra'  ad  escludere  l'idoneita'  della  norma  convenzionale  a
integrare il parametro  costituzionale  considerato  (tra  le  altre:
Corte costituzionale n. 68 del 2017, 303 e n. 113 del 2011, n. 93 del
2010, n. 311 del 2009, n. 3419 e n. 348 del 2007). 
    4.2. Il ruolo della «norma»  convenzionale  nel  sistema  interno
delle fonti e' stato chiarito, ed  in  qualche  modo  ridimensionato,
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49 del 2015. 
    In   tale   sentenza   se'    e'    affermato    che    l'obbligo
dell'interpretazione adeguatrice incombe sul giudice solo in presenza
di una interpretazione consolidata o di una sentenza pilota: «solo un
«diritto consolidato», generato dalla giurisprudenza europea, che  il
giudice interno e' tenuto a porre a fondamento del  proprio  processo
interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso,  a  fronte
di pronunce che  non  siano  espressive  di  un  orientamento  oramai
divenuto  definitivo  [..].  La  nozione  stessa  di   giurisprudenza
consolidata  trova  riconoscimento  nell'art.  28  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, a riprova che, anche nell'ambito  di  quest'ultima,  si
ammette che lo spessore di persuasivita' delle pronunce sia  soggetto
a sfumature di grado, fino a quando non emerga  un  «well-established
case-law» che «normally means case-law which has  been  consistenti),
applied by  a  Chamber»,  salvo  caso  eccezionale  su  questione  di
principio, «particularly when the  Grand  Chamber  has  rendered  it»
(Corte cost. n. 49 del 2015). 
    I giudici costituzionali hanno anche indicato gli  indici  idonei
ad orientare il giudice nazionale nei suo percorso  di  discernimento
ovvero «la creativita' del principio  affermato,  rispetto  al  solco
tradizionale della giurisprudenza europea;  gli  eventuali  punti  di
distinguo, o persino di contrasto, nei confronti  di  altre  pronunce
della Corte europea dei diritti dell'uomo; la ricorrenza di  opinioni
dissenzienti,  specie  se  alimentate  da   robuste   deduzioni;   la
circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e  non
ha ricevuto l'avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso  di
specie, il giudice europeo non  sia  stato  posto  in  condizione  di
apprezzare i tratti peculiari dell'ordinamento  giuridico  nazionale,
estendendovi criteri di giudizio elaborati  nei  confronti  di  altri
Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco
confacenti al caso italiano. Quando tutti, o alcuni di questi  indizi
si manifestano, secondo un giudizio che non  puo'  prescindere  dalle
peculiarita' di ogni singola vicenda, non vi e'  alcuna  ragione  che
obblighi il giudice comune  a  condividere  la  linea  interpretativa
adottata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per  decidere  una
peculiare controversia, sempre che non si  tratti  di  una  «sentenza
pilota» in senso stretto» (Corte cost. n. 49 del 2015). 
    Dunque:  non  ogni  sentenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo genera l'obbligo di interpretazione  adeguatrice,  ma  solo
quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una
ratio decidendi del diritto scrutinato non frutto di una elaborazione
episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e  condiviso,
se non addirittura  avallato  dall'Intervento  di  una  pronuncia  di
Grande camera. 
    4.3. Seguendo il metodo indicato, il  confronto  tra  il  diritto
interno (nel caso di specie individuato  nell'art.  75  comma  2  del
decreto legislativo n. 159 del 2011)  con  il  diritto  convenzionale
espresso  dalla  sentenza  De  Tommaso  deve  passare  attraverso  le
seguenti tappe: a) la verifica della natura consolidata  del  diritto
europeo in ipotetico contrasto con quello interno; b) la  valutazione
della    possibile    composizione    del    contrasto     attraverso
l'interpretazione  adeguatrice;  c)  l'apertura   dell'incidente   di
costituzionalita', ove il  contrasto  non  sia  risolvibile  per  via
interpretativa. 
    5.  In  via  preliminare  deve  essere  valutato  se  alla  ratio
decidendi  espressa  dalla   sentenza   De   Tommaso   possa   essere
riconosciuta la qualita' di «diritto consolidato». 
    5.1. Sul punto il  collegio  ritiene  di  non  discostarsi  dalla
scelta ermeneutica effettuata dalle Sezioni unite nel caso  Paterno':
nell'effettuare l'interpretazione abolitiva dell'art. 75, comma 2 del
decreto legislativo 159 del 2011 la Corte ha, seppur  implicitamente,
riconosciuto  alla  sentenza  De  Tommaso  la  natura   di   «diritto
consolidato» e la  conseguente  capacita'  di  attivare  in  capo  al
giudice comune l'onere conformativo. 
    A  favore  di  tale  scelta  milita  l'autorevolezza  dell'organo
decidente: secondo la prassi che governa il funzionamento della Corte
di Strasburgo le sentenze  di  Grande  camera  vincolano  le  sezioni
semplici e sono reversibili solo attraverso un nuovo  intervento  del
massimo organo di interpretazione  del  diritto  convenzionale  (come
conferma,   a    titolo    esemplificativo,    l'overrulling    sulla
retroattivita' ante giudicato della lex mitior  sopravvenuta,  deciso
dalla Grande camera nel caso Scoppola v. Italia). 
    5.2. Tuttavia deve essere rimarcato, che in ambiente nazionale il
fatto che l'interpretazione del diritto convenzionale provenga  dalla
Grande camera non  e'  l'unico  indice  per  valutarne  la  capacita'
conformativa. 
    Secondo la Corte ostano al riconoscimento  della  stabilita'  del
diritto: a) la «creativita'» del principio affermato,  gli  eventuali
punti di distinguo, o di contrasto con  altre  pronunce  della  Corte
europea;  b)  la  ricorrenza  di  opinioni  dissenzienti,  specie  se
articolate;  c)  il  mancato  apprezzamento   di   tratti   peculiari
dell'ordinamento nazionale; d) ed anche (ma non solo) la  circostanza
che l'interpretazione provenga da una sezione semplice  e  non  abbia
ricevuto l'avallo della Grande camera (Corte cost. n. 49 del 2015). 
    Si tratta di indicatori  che,  all'apparenza  sono  sullo  stesso
piano, senza che sia possibile  riconoscere  tra  gli  stessi  alcuna
gerarchia  o   prevalenza,   ed   il   cui   scrutinio   e'   rimesso
all'apprezzamento ampiamente discrezionale, del giudice comune. 
    5.3. Per effettuare una avvertita analisi  della  stabilita'  del
diritto convenzionale che  aspira  ad  avere  efficacia  conformativa
occorre dunque esaminare tutti i parametri indicati. 
    In primo luogo: nel caso di specie non si rinviene alcun  profilo
di «creativita'» del diritto espresso dalla sentenza De  Tommaso;  la
«qualita'» della legge in materia di misure di  prevenzione  non  era
stata mai specificamente valutata dalla Corte  europea,  sicche'  non
puo' dirsi che la sentenza  rappresenti  una  imprevedibile  frattura
rispetto ad una pregressa interpretazione  consolidata,  ma  solo  un
autorevole novum (§ 114 della sentenza De Tommaso). 
    Il collegio non ignora che in  una  delle  opinioni  dissenzienti
(quella a firma dei giudici  Raimondi,  Villiger,  Šikuta,  Keller  e
Kjølbro) si osserva che prima di esaminare  il  caso  De  Tommaso  la
Corte  europea  non  aveva  mai  rinvenuto  carenze  in  termini   di
prevedibilita' e, piu' in generale, di qualita' della legge italiana:
si tratta, tuttavia, di una affermazione  che  non  tiene  conto  del
fatto che nella precedente  giurisprudenza  della  Corte  europea  il
difetto  di  prevedibilita'   non   veniva   rilevato   perche'   non
espressamente esaminato. Le  precedenti  pronunce  si  erano  infatti
limitate a rilevare  l'esistenza  della  (innegabile)  «base  legale»
della misura, senza approfondire  la  questione  della  qualita'  del
relativo tessuto normativo. Cosi', ad esempio, nel caso Monno  contro
Italia (Corte Eur. dei dir. dell'uomo, 8 ottobre 2013), la  Corte  ha
chiarito che la misura  personale  della  sorveglianza  speciale  con
obbligo di soggiorno non comporta una violazione dell'art. 5,  c.  1,
che tutela la liberta' fisica della persona, ma si tratta di una mera
restrizione della liberta' di circolazione, disciplinata dall'art.  2
del  Protocollo  n.  4,  che  deve  essere  prescritta  dalla  legge,
perseguire uno scopo legittimo ai sensi del comma 3 dello stesso art.
2 Prot. n. 4, e perseguire un corretto bilanciamento tra il  pubblico
interesse e i diritti  degli  individui  (contra  in  relazione  alla
particolare misura imposta  la  sentenza  emessa  nel  caso  Guzzardi
contro Italia, 6 novembre 1980). Non risultano in termini neanche  le
sentenze Raimondo contro Italia (22 febbraio 1994), Labita C.  Italia
(Grande camera 6 aprile 2000), Vito Sante Sentono contro  Italia  (1°
luglio 2004) e Villa contro Italia (20 aprile 2010): anche in  questi
casi la Corte si limita all'apprezzamento dell'esistenza di una  base
legale, senza approfondire il tema della qualita' della legge. 
    In secondo luogo: non puo' ritenersi che il diritto  interno  non
sia stato apprezzato nelle sue peculiarita', dato che la sentenza  De
Tommaso si  rivolge  proprio  nei  confronti  dello  Stato  italiano,
sicche' non patisce i fisiologici difetti di  compatibilita'  con  il
diritto interno che possono emergere quando le  decisioni  riguardano
altri Stati e valutano altri ordinamenti. Anzi nel caso in  esame  la
Corte di Strasburgo tiene conto anche del percorso  giurisprudenziale
correttivo  effettuato  sia  dalla  Corte  costituzionale  (§§  44  e
seguenti), che dalla Corte di cassazione  (§§  62  e  ss.),  offrendo
un'interpretazione che, da un lato, e' coerente con la  natura  mista
(legislativa  e  giurisprudenziale)  del  diritto  convenzionale,  e,
dall'altro si  dimostra  specificamente  aderente  alle  peculiarita'
dell'ordinamento italiano. 
    Rilevante e', invece, il numero di opinioni non  concordanti  che
corredano la decisione. Si tratta di opinioni che,  pur  condividendo
il  riconoscimento  della  illegalita'   dell'ingerenza   conseguente
all'imposizione della  sorveglianza  speciale,  utilizzano  argomenti
diversi da quelli offerti dalla sentenza. 
    Sebbene in ambiente convenzionale le  opinioni  dissenzienti  non
incidano sulla capacita' stabilizzante degli interventi della  Grande
camera (che restano reversibili solo attraverso un  nuovo  intervento
del massimo organo), le stesse hanno un innegabile rilievo «interno»,
in quanto sono indicate dalla Corte costituzionale come parametri  di
rilievo per valutare la capacita' conformativa  della  giurisprudenza
di Strasburgo, ed e' per tale ragione che  le  stesse  devono  essere
comunque valutate. 
    Nel caso De Tommaso le opinioni separate evidenziano due aree  di
dissenso:  la  prima,  nella  quale  si  rileva  come  la  violazione
dell'art. 2 del Protocollo 4 della Convenzione, sia rilevabile non in
ragione del carente  prevedibilita'  della  legge,  ma  a  causa  del
difetto di proporzione della misura imposta  rispetto  alle  esigenze
preventive rilevate (giudici Raimondi,  Villiger,  Šikuta,  Keller  e
Kjølbro e, con qualche distinguo, giudice Dedov); la seconda dove  si
contesta invece, in modo piu'  radicale,  il  mancato  riconoscimento
della violazione degli articoli 5 e 6 della Convenzione, ovvero della
natura «penale» delle ingerenze  sulla  liberta'  agite  per  ragioni
preventive (giudice Pinto  de  Albuquerque,  giudice  Sajo',  giudice
Vučinić). Infine, una ulteriore opinione non concordante denuncia una
errata valutazione del caso concreto (giudice Kuris). 
    Con riguardo al tema che rileva nel  caso  in  esame,  ovvero  la
valutazione in ordine  alla  «qualita'»  della  legge  italiana,  che
refluisce sul giudizio in ordine  alla  tassativita'  delle  condotte
indicate dall'art. 75, comma 2 del decreto  legislativo  n.  159  del
2011 si ritiene che gli argomenti offerti  dai  giudici  dissenzienti
centrati sulla valorizzazione della novita' e, dunque del sostanziale
«isolamento» della sentenza De Tommaso non abbiano  la  capacita'  di
incidere l'efficacia argomentativa della decisione avversata. Come si
e' gia' rilevato le sentenze precedenti si erano limitate a  rilevare
l'esistenza di una «base legale» delle misure di prevenzione, ma  non
avevano approfondito il tema della «qualita'» di tale base,  che  per
espressa ammissione della Corte veniva valutata per  la  prima  volta
proprio nel caso De Tommaso (§ 114 della sentenza). 
    Il fatto che in relazione alla stessa non si registri un  corredo
di pronunce confermative non e'  elemento  che  incide  sulla  natura
consolidata del diritto espresso dalla sentenza De Tommaso: la Grande
camera e' stata infatti «direttamente» chiamata a decidere  sul  tema
della prevedibilita' della legge  che  disciplina  la  materia  delle
misure di prevenzione per la rilevanza del tema e la sua  percepibile
incidenza sull'ordinamento italiano. Tale circostanza, piuttosto  che
depotenziare, rafforza l'autorevolezza  della  pronuncia,  in  quanto
esprime la  piena  consapevolezza  della  rilevanza  della  questione
devoluta. 
    5.4. Infine: il collegio non ignora, che valutazioni contrarie al
riconoscimento della  qualita'  di  diritto  consolidato  alla  ratio
decidendi espressa dalla sentenza De Tommaso sono state effettuate da
parte della giurisprudenza di merito, che al fine  di  escluderne  la
capacita' conformativa  ha  valorizzato  proprio  l'isolamento  della
decisione e la presenza di articolate opinioni dissenzienti  (tra  le
altre: Tribunale di Milano, 7 marzo 2017, Tribunale  di  Palermo,  1°
giugno 2017, Tribunale di Roma, 3 aprile 2017). 
    5.5.  Si  ritiene  tuttavia  di  non  discostarsi  dalla   scelta
ermeneutica effettuata nella  sentenza  Paterno'  e  di  ribadire  la
natura consolidata del diritto espresso dalla  sentenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo nel caso De Tommaso, con il conseguente
riconoscimento del ruolo (sovra legislativo) che assume  nel  sistema
delle  fonti  e,  quel  che  piu'  rileva,  della  sua  capacita'  di
conformare il diritto interno: militano in tal senso  l'autorevolezza
dell'organo decidente, la riconosciuta stabilita' delle decisioni  di
grande  Camera  in  ambiente  convenzionale,  la  specificita'  delle
valutazioni in essa contenute, espressamente  dirette  nei  confronti
della legge italiana (e fondate  su  una  analitica  valutazione  del
diritto interno, sia di matrice legislativa  che  giurisprudenziale),
nonche' la debolezza  degli  argomenti  offerti  dalle  opinioni  non
concordanti. 
    6. Riconosciuta all'interpretazione  offerta  dalla  sentenza  De
Tommaso  la  natura  di  «diritto  consolidato»,  e  preso  atto  del
conseguente ruolo che la stessa  acquista  nel  sistema  delle  fonti
(sovralegislativo, ma subcostituzionale), occorre  verificare  se  la
conformazione della legge a tale fonte superiore possa essere attuata
per via interpretativa, o  se  invece  sia  necessario  sollevare  la
questione di costituzionalita'. 
    6.1. E' bene rimarcare  che  i  giudici  di  Strasburgo  si  sono
limitati  a  valutare  la  legalita'  convenzionale  dei  presupposti
applicativi e dei contenuti prescrittivi della legge  che  disciplina
le misure di prevenzione, ma non hanno analizzato i correlati  penali
della disciplina e, segnatamente,  la  rispondenza  ai  parametri  di
legalita' convenzionale del reato previsto dall'art. 75 comma  2  del
decreto legislativo n. 159 del 2011. 
    Il che, secondo il collegio, non  toglie  rilevanza  al  problema
della determinatezza e prevedibilita' del reato in esame: la  censura
rivolta nei confronti della genericita' delle prescrizione di «vivere
onestamente e rispettare  le  leggi»  si  ripercuote  inevitabilmente
sulla norma che prevede l'applicazione di  una  sanzione  proprio  in
relazione all'accertamento della violazione delle prescrizioni  delle
quali si afferma la genericita'. 
    6.2..  Nell'area   del   diritto   penale   la   valutazione   di
indeterminatezza delle condotte impone il confronto con il  principio
di legalita' tutelato sia dall'art.  7  della  Convenzione  Edu,  che
dall'art. 25 della Carta costituzionale; confronto che non  e'  stato
necessario nel caso De Tommaso dove era in valutazione  la  legalita'
dei presupposti e delle prescrizioni  delle  misure  di  prevenzione,
ovvero di una materia che, ancora una volta  e'  stata  ritenuta  non
all'area del diritto penale. 
    Nel  caso  di  specie,   invece,   la   valutazione   in   ordine
all'indeterminatezza delle prescrizioni  di  «vivere  onestamente»  e
rispettare le leggi, alla cui  violazione  consegue  la  applicazione
della sanzione prevista dall'art. 75, comma 2 decreto legislativo  n.
159 del 2011, impone il  controllo  del  rispetto  del  principio  di
legalita': la indeterminatezza della  descrizione  della  fattispecie
penale confligge con i parametri di legalita'  scolpiti  nelle  Carte
dei diritti (costituzione  e  Convenzione  Edu)  poiche'  autorizzano
incisioni  del  diritto  alla  liberta'  non  prevedibili  in  quanto
l'intervento giudiziale non  risulta  contenuto  entro  un  perimetro
normativa sufficientemente definito. 
    Sul  punto  la  Corte  Edu  ha  ribadito  che  «  una  norma   e'
«prevedibile»  quando  offre  una  misura  di  protezione  contro  le
ingerenze arbitrarie da parte delle autorita'  pubbliche  (si  vedano
Centro Europa  7  S.r.l.  e  Di  Stefano,  sopra  citata,  §  143,  e
Khlyustov,  sopra  citata,  §  70).  Una  legge  che  conferisce  una
discrezionalita' deve indicare la portata di  tale  discrezionalita',
benche' le particolareggiate procedure e condizioni da osservare  non
debbano essere  necessariamente  comprese  nelle  norme  del  diritto
sostanziale (si vedano Khlyustov, sopra citata,  §  70,  e  Silver  e
altri contro Regno Unito, 25 marzo 1983, § 88, Serie A n. 61)» (§ 109
della sentenza De Tommaso). 
    Del pari le Sezioni Unite hanno affermato che «rapporto che  lega
la determinatezza  della  norma  penale  alla  sua  prevedibilita'  e
conoscibilita' finisce per influire sulla  sussistenza  stessa  della
colpevolezza, intesa come possibilita' del  destinatario  di  «essere
motivato  dal  diritto».  Il  difetto  di  precettivita'  insito  nel
generico  obbligo  di  rispettare  le  leggi,  che  vale   per   ogni
consociato,  impedisce  alla  norma  in  questione  di  influire  sul
comportamento del destinatario, in quanto non sono individuate quelle
condotte socialmente dannose, che devono essere evitate, e  non  sono
prescritte quelle socialmente utili, che devono essere perseguite. In
questa situazione di incertezza il sorvegliato  speciale  non  e'  in
condizione di conoscere e prevedere le conseguenze  della  violazione
di una prescrizione che si presenta in termini cosi generali. D'altra
parte, in presenza di un precetto indefinito l'ordinamento penale non
puo' neppure pretenderne l'osservanza» (Cass. sez. un, n.  40076  del
27 aprile 2017 Paterno', Rv. 270496). 
    6.3. Il difetto di legalita' rilevato, secondo il  collegio,  non
puo' essere sanato con lo strumento dell'interpretazione adeguatrice. 
    Se infatti si ritenesse di adeguare  per  via  interpretativa  la
norma penale alle indicazioni convenzionali, si dovrebbe  riconoscere
la fonte dell'abrogazione del delitto previsto dall'art. 75 comma  2,
decreto  legislativo  n.  159  del  2011  nel  diritto  convenzionale
espresso dalla sentenza De Tommaso. 
    E' vero che  si  tratterebbe  di  una  decisione  sostanzialmente
«ricognitiva» di una abolizione che trova la sua  fonte  nel  diritto
europeo,  con   formale   rispetto   del   principio   di   legalita'
(l'abrogazione  non  sarebbe   di   matrice   giurisprudenziale,   ma
convenzionale,   ovvero   sovralegislativa);   ma   l'attivita'    si
risolverebbe,  comunque,  in   una   «isolata»   e   non   vincolante
interpretazione giurisprudenziale. 
    Ritenere che la stessa «esistenza astratta» di un  delitto  possa
essere  sottoposta  alla  fisiologica  instabilita'  correlata   alla
«diffusione» della facolta' di interpretazione connessa all'esercizio
della giurisdizione, non risponde all'esigenza di prevedibilita' alla
cui tutela e' funzionale il principio di legalita'; ne' garantisce il
diritto fondamentale alla liberta' personale, che puo' essere  inciso
dallo Stato solo in caso di accertata violazione di norme  «stabili»,
ovvero conoscibili  e  prevedibili,  definite  in  astratto  in  modo
tassativo  ed  univoco  e  non  sottoposte  all'alea  di  valutazioni
giurisprudenziali disomogenee. 
    Il ricorso all'interpretazione adeguatrice, strumento a vocazione
casistica, si rivela inadeguato a garantire la certezza  del  diritto
necessaria  quando  sia  in  gioco  la  definizione  dell'area  delle
condotte penalmente rilevanti, ovvero quando  sia  in  predicato  una
«interpretazione abolitiva» a vocazione generale, che, come nel  caso
di specie, pretenda di travolgere il giudicato. 
    6.4. Si ritiene, pertanto, necessario un intervento  della  Corte
costituzionale, ovvero dell'unico  organo  che  ha  la  capacita'  di
incidere sulla legge con efficacia retroattiva e che  puo'  assegnare
alla condotta prevista dall'art. 75 comma 2 del  decreto  legislativo
n. 159 del 2011 la connotazione «stabile» necessaria per garantire la
prevedibilita'  della  sanzione  ed  il  sostanziale   rispetto   del
principio di legalita'. 
    7. In sintesi: il collegio deve valutare  se  alla  pronuncia  di
Grande  camera  De  Tommaso  v.  Italia,   espressione   di   diritto
convenzionate consolidato, consegua l'abolizione del delitto previsto
dall'art. 75 comma 2 decreto legislativo 159 del 2011 nella parte  in
cui  sanziona  penalmente  la  violazione  dell'obbligo  di   «vivere
onestamente e rispettare leggi». 
    7.1. In punto di rilevanza della questione in relazione  al  caso
di specie si osserva che tale valutazione non e' evitabile, dato  che
la Corte di cassazione ha l'onere di valutare  la  sopravvenienza  di
eventi abolitivi  anche  in  presenza  di  ricorsi  inammissibili  e,
dunque, a fronte  di  condanne  passate  in  giudicato.  Il  giudizio
devoluto alla Cassazione non si esaurisce infatti  nella  valutazione
della  manifesta  infondatezza  del  ricorso,  dato  che  permane  la
necessita di controllare la legalita' del giudicato e,  segnatamente,
la eventuale abolizione dei reati per i quali vi e' stata condanna. 
    Come rilevato nel  §  3  il  ricorso  del  S.  e'  manifestamente
infondato in quanto e' diretto  in  modo  generico  a  contestare  la
definizione  del  trattamento  sanzionatorio,   sia   in   punto   di
individuazione  della  pena  base,   che   di   bilanciamento   delle
circostanze. Il ricorrente vanta tuttavia una condanna alla pena anni
uno e mesi  sei  di  reclusione  inflitta  in  relazione  al  delitto
previsto dall'art. 75 comma 2 decreto legislativo 159  del  2011:  la
efficacia ed eseguibilita' di tale  sanzione  e'  condizionata  dalle
valutazioni in ordine alla perdurante vigenza del delitto contestato,
della cui compatibilita' costituzionale e convenzionale  tuttavia  si
dubita. 
    7.2. Quanto  alla  fondatezza  della  questione,  si  rileva  che
l'interrogativo circa la attuale  sussistenza  del  reato  non  trova
risposta nella interpretazione abrogatrice fornita  dalla  Cassazione
nel caso Paterno', essendo  i  principi  di  diritto  espressi  dalle
Sezioni Unite non assimilabili alle fonti del diritto (Corte cost. n.
230 del 2015); ne' si ritiene compatibile con l'esigenza di  certezza
tutelata  dall'art.  25  della  Costituzione  e  dall'art.  7   della
Convenzione una interpretazione conformatrice  di  tipo  ricognitivo,
che   individui   l'evento   abolitivo   direttamente   nel   diritto
convenzionale.  Come  gia'  rilevato,  tale  scelta  non  avrebbe  la
stabilita' necessaria per garantire  la  prevedibilita'  della  legge
penale, ed, in ultima istanza, il diritto  alla  liberta'  personale,
presidiato dal principio di legalita'. 
    7.3. Pertanto: ritenuto che la sentenza della Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo  pronunciata  nel  caso  De  Tommaso   v.   Italia
rappresenta diritto «consolidato», si sottopone al vaglio del Giudice
delle leggi il seguente quesito: se l'art. 75  comma  2  del  decreto
legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui  sanziona  penalmente
la violazione dell'obbligo di «vivere onestamente e di rispettare  le
leggi», sia compatibile  con  gli  articoli  25  e  117  della  Carta
fondamentale, letto questo secondo articolo in relazione  all'art.  7
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e
delle liberta' fondamentali ed all'art. 2 del Protocollo n.  4  della
stessa Convenzione, interpretati  alla  luce  della  ratio  decidendi
espressa dalla sentenza della Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,
Grande camera, De Tommaso contro Italia del 23 febbraio 2017. 
    7.4. Il giudizio in corso deve pertanto  essere  sospeso  e  deve
essere  disposta  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.